“…Attraversando la narrazione di una realtà tanto ingiusta da sembrare distopica, approda all’urgente questione sul significato medesimo della rappresentazione, qui disinnescata delle sue consuetudini dalla tagliente scenografia di Annelisa Zaccheria…” Arnalda Canali, Dramaholic, 2025
“…La scenografia di Annelisa Zaccheria mescola una solitudine urbana alla Hopper con il posticcio ambiente tex-mex: da un lato la macchina per foto automatiche disposta in fondo a destra della scena e le pareti spoglie del palco che rivelano lo scheletro della macchina scenica; dall’altro il cactus finto, posizionato a sinistra, in avanti. Null’altro in scena se non il reggi-chitarra e il microfono stile Elvis disposto sulle scale di accesso al palcoscenico. Una botola circolare disposta sotto il cactus completa la macchina scenica,…in basso lampadine sulla scalinata di accesso al palco a dare l’idea della fiesta…Festa di paese ma anche luci della ribalta. Un altro oggetto molto importante è poi il grande puntatore rosso (come quelli di google maps) che scende dalla graticcia e replica la scritta luminosa ‘Piccolo Teatro’ proprio come l’insegna in via Rovello…” Renzo Francabandera e Elena Scolari, PAC - Paneacquaculture, 2025
“…In un clima e spazio da cabaret (la scenografia è un palcoscenico con lampadine sugli scalini e sul boccascena); … con richiami visivi a un immaginario pop (un enorme cactus mobile e parlante, luci psichedeliche, personaggi da cartoon, ambientazione vintage tra Messico e California); surreale per concezione e messinscena che si fa, nelle riflessioni che pone, anche dramma, lo spettacolo rompe continuamente la quarta parete attraverso quattro squinternati antieroi…Arrivano sempre dalla platea, si posizionano dentro una cabina di fototessera, si fotografano (ecco la crisi d’identità), spariscono da dietro la tendina, e ritornano in scena cambiando ruoli a rotazione…Sulle note di un’ultima struggente canzone, cala un sipario con disegnate una sfilza di icone di geolocalizzazione – quelle di Google Maps -, forse a indicare la crescente e massiccia presenza dei nuovi poveri ovunque nelle nostre città…” Giuseppe Distefano, Exibart, 2025
“… Dal punto di vista estetico, Latella gioca coni super-eroi come David La Chapelle fa con le immagini sacre, immergendoli in un mondo pop di colori saturi e di luci fluo. La scena (firmata da Annelisa Zaccheria) opera tra parodia e simbolo: il deserto americano è sintetizzato da un fintissimo cactus, un gabbiotto per fototessere è pronto a immortalare eroi e miti on the road,…” Maddalena Giovannelli, Il Sole 24 Ore, 2025
“…Così, poniamo, spiccano l'enorme cactus collocato sulla sinistra e la cabina in cui ci si scatta le foto destinate alle tessere, in primo luogo alla carta d'identità: il cactus rimanda al deserto del Mojave in cui sorge Las Vegas (la «Sin City», la città del peccato e del vizio) e la cabina perle fototessera al fatto che, se una cosa manca in «Zorro», è la riconoscibilità, ovvero la collocazione in un ordine e in un significato prestabiliti e fissi. Non a caso, gl'interpreti (i bravissimi Michele Andrei, Paolo Giovannucci, Stefano Laguni e Isacco Venturini) si scambiano continuamente i ruoli, compaiono prima che lo spettacolo cominci a mo' di statue piazzate nel foyer e, in seguito, ad intervalli più o meno regolari entrano a turno nella cabina di cui sopra. Del resto, a ricordarci che stiamo comunque assistendo a uno spettacolo mentre nel mondo dilagano drammi e brutture, è il simbolo, una sorta di goccia rovesciata, che sulle mappe indica un determinato luogo e che nella circostanza indica, naturalmente, il Piccolo Teatro…”Enrico Fiore, Corriere del Mezzogiorno, 2025
“…Magnifiche le scene di Annelisa Zaccheria …” Camilla Tagliabue, Il Fatto Quotidiano 2025
“…A suggerire l’impostazione volutamente e iperbolicamente pop scelta dal regista così da creare un immediato e stridente contrasto con le tematiche tutt’altro che spensierate dello spettacolo. Un’impostazione ulteriormente evidenziata dalla scenografia quasi fumettistica ideata da Annelisa Zaccheria: il proscenio incorniciato dalle luci, una macchina per le foto che è anche mezzo per riaffermare a sé stessi ma anche modificare la propria identità, un enorme cactus – cui è riservato anche un surreale siparietto – e, nella seconda parte dello spettacolo, una freccia stile google maps a indicare il luogo in cui ci troviamo, ovvero il Piccolo Teatro di Milano…” Laura Bevione, Artribune, 2025
“…nell' ipertesto che satura la smagliante scena di Annelisa Zaccheria con cactus parlante e semovente, versione cartoon dell'alberello di Vladimiro ed Estragone…” Sara Chiappori, La Repubblica, 2025
“…La scenografia di Zaccheria trasforma il palco in un mondo vivace e contrastato, con luci stroboscopiche e colori sgargianti… Un elemento centrale della scenografia è la cabina fototessera, simbolo della mercificazione delle identità. Questo accessorio diventa il punto di passaggio tra palco e sala, suggerendo come la lotta per la giustizia sociale si trasformi in un prodotto da consumare. Un cactus, che richiama la California spagnola, rinforza il tema del contrasto tra ricchezza e povertà…Lo spettacolo esplora anche la natura stessa del teatro e dell’identità, mettendo in discussione i ruoli imposti dall’esterno e la percezione che abbiamo degli altri. La teatralità si fa metateatrale, con un gioco di riflessi che sfida la costruzione sociale della realtà e la capacità di comunicare tra chi detiene il potere e chi è oppresso.…La scenografia colorata e la commistione di generi teatrali creano un’esperienza che travolge gli stereotipi, mettendo in crisi le certezze borghesi. ..” Vincenzo Sardelli, 2025 Krapp’s Last Post
“…I colori della scena di Annelisa Zaccheria, con un cactus e una cabina per le foto dai toni netti, squillanti, un luogo che ingoia gli attori, che rispuntano, cambiando personaggio, da una botola…” Massimo Marino, Doppiozero, 2025
“…I quattro indossano abiti variopinti e agiscono su un palcoscenico occupato solo da una cabina per foto-tessere, che, con la sua funzione di fissare su carta l’immagine umana, ne limita la libertà espressiva e, nello stesso tempo, è luogo di fuga utilizzato dai personaggi per entrare e uscire dalla scena. Altro elemento è un cactus, semovente e parlante….L’entrata in scena avviene spesso anche tramite una buca del parterre assimilabile a un tombino di accesso alle fognature da cui esce fumo e i cui presunti liquami simbolizzano rifiuti umani della società. …La ricca scenografia di Annelisa Zaccheria arricchita dalle luci luminosissime… Carlo Tomeo, 2025 Alessandria Today “…La scena di Annelisa Zaccheria ha previsto una grande parete in legno chiaro con dei fregi a cornice, come quadri vuoti le cui tele ancora dovevano essere dipinte. Al centro i tavolini degli avventori della locanda, con sedie di plastica intrecciata come andavano di moda negli anni 60-70 del Novecento, mentre sulla destra la modernissima cucina inox sulla quale l’attrice ha davvero cucinato una zuppa il cui profumo si è sprigionato in platea, in un momento di teatro olfattivo… La casseruola era di colore rosso, forse a rappresentare il “cuore” della locanda, paragonabile a un odierno B&B di cui Mirandolina era abile imprenditrice…” Maria Luisa Abate, De Artes, 2024
“…Come in Chi ha paura di Virginia Woolf? c’era il tavolino degli alcolici a fare da fuoco spaziale all’azione, qui è la cucina a fare da punto focale all’ellissi dei movimenti di Mirandolina e Fabrizio e fa un certo effetto sentire il profumo di soffritto, lo sfrigolare le cipolle, nella preparazione dell’intingolo che Mirandolina cucina per sedurre e portare a sé il cavaliere… La scena del ferro da stiro è il punto di svolta che consegna la pièce al dramma borghese…In questo tentativo di analisi che si infrange sulla parete lignea della scena che divide un qui e un altrove, che racconta di un’eleganza sobria ad avere il sopravvento…” Nicola Arrigoni, Sipario, 2024
“…Nessun cenno nella messinscena al secolo dei lumi: vagamente settecentesca nelle decorazioni è solo la larga boiserie di legno che fa da fondale… Al centro un tavolo, circondato da sedie di plastica da esterno, e una piccola cucina in acciaio dove campeggia una casseruola di ghisa rossa. Talora, per sottolineare la drammaticità degli eventi, si sente il prosaico sfrigolio dei neon che illuminano l’interno anonimo dell’albergo fiorentino. Tutto mira ad enfatizzare il realismo e l’attualità del testo …” Elena Pousché, Sipario, 2024
“…La locanda che (ri)crea Latella, con il contributo determinante della drammaturgia di Linda Dalisi e della scena disegnata da Annelisa Zaccheria, è estremamente stilizzata, lasciando ai movimenti degli attori il compito di delineare muri e porte, corridoi e finestre: sul fondo c’è un grande pannello di legno chiaro con apposte, in modo disordinato e casuale, cornici modanate e fregi, elementi che in qualche modo richiamano, senza tuttavia citarlo, il rococò illuminista della composizione dell’opera, ma che, combinati in quel modo e tutti d’identica fattura seriale, danno piuttosto l’idea d’esser bella mostra di elementi di boiserie prêt-à-porter come puoi trovare, oggi, in un qualsiasi centro commerciale, di prepotenza entrando, quindi, nella nostra contemporaneità. Un vecchio tavolo di legno senza tempo è l’unico vero arredo, sulla sinistra di chi guarda, insieme ad alcune sedie di plastica e metallo, sulla destra una moderna cucina d’acciaio a induzione su cui troneggia, placida e quasi sensuale, una rossa pentola smaltata, all’estrema sinistra una predella svolge varie funzioni, soprattutto di snodo e sottolineatura dei movimenti di scena. In quest’unico ambiente – illuminato da luci al neon che fanno bella mostra di sé in alto, anch’esse partecipi della vicenda, visto che in taluni momenti friggono ronzando, quasi sottolineando momenti di cortocircuito – si svolge tutta l’azione…” Luigi Paolillo, Fermata Spettacolo, 2024
“…La locanda, arredata con un design minimalista e funzionale, grazie alle scene di Annelisa Zaccheria, diventa un microcosmo dove le relazioni spesso si trasformano in scontri…”Francesco Bove L’armadillo furioso,2024
“…Gli attori agiscono davanti alla scenografia minimale di Annelisa Zaccheria, che funge da confine tra scena e retroscena e che è caratterizzata da un tavolino – luogo di incontro e di azione – e da una vera cucina dalla quale si spandono per la platea odori e fumi, offrendo all’udienza sensazioni olfattive con funzione immersiva…La pièce termina con Mirandolina che – rassegnata – si siede su uno sgabello che è rimasto sul proscenio per tutta la durata dello spettacolo, dando ancora una volta le spalle al pubblico…” Benedetta Colasanti, Drammaturgia, 2024
“…Ora in questa Locandiera, quell’interno alberghiero (di Annelisa Zaccheria) appare sobrio, una enorme cucina-soggiorno-salapranzo chiusa da una incombente parete lignea a cassettoni…”, Gianfranco Capitta, Il Manifesto, 2024
“…Annelisa Zaccheria costruisce una scena unica, essenziale, odierna e spoglia dove il gioco delle parti del Conte, del Marchese e del Cavaliere con Mirandolina e Fabrizio sembra volerlo presentare come la dimostrazione di un teorema, con quel tocco naturalistico costituito dal cibo cotto in scena e il cui profumo si spande per il teatro…”Paolo Petrini, ANSA, 2024
“…La scena di Annelisa Zaccheria è un unico spazio, ma idealmente divisa in tre ambienti: la camera dove stanno gli ospiti della locanda di Mirandolina, la cucina che è il suo regno e, sullo sfondo, una parete di legno che racchiude in modo evidente quel piccolo mondo. …A me pare che questa La Locandiera sia come una bella elegia sui piccoli e grandi spostamenti del cuore, profondi e volatili ma che danno un senso (di leggerezza e pienezza) alla vita un po’ come succede nel Così fan tutte mozartiano… .” Anna Bandettini, la Repubblica, 2024
…il fondale ligneo chiaro con intarsi a rilievo che cominciano e non finiscono da nessuna parte e gli arredi in acciaio profusi con rigore da Annelisa Zaccheria. …Il corpo di scena di Bergamasco si staglia sulla boiserie di legno che sa farsi metafisica e che non muta mai, alludendo al contesto di interni nel quale si consuma la storia, con Mirandolina che usa una cucina piccola e moderna il cui livello inferiore funge anche da tana/cassaforte del cuore, un forno a microonde Samsung, una pentola rossa, un coltello e altri utensili, quattro sedie verdi di plastica, una pedana che segnala il cambio di ambienti, l’immancabile ferro da stiro (che per Goldoni è un’appendice di Mirandolina negli snodi drammatici), un tavolino che fa da desco, da letto dove adagiare la locandiera svenuta, da tavolo da gioco dove i bastoncini del Mikado (o Shangai) decidono la sorte tra le dita del cavaliere o delle commedianti (che in una controscena paiono due parche chiaroscurate da una luce alla Georges de La Tour). …” Floriana Conte, BeeMagazine, 2024
“Il fondale di legno chiaro striato è attraversato dagli intarsi di una raffinata boiserie settecentesca. I quadranti e i fregi sono però disposti con strana irregolarità e le cornici sono, a tratti, spezzate. Davanti, un piccolo tavolo antico, circondato da sedie di plastica colorata e intrecciata, simili a quelle di un esterno marittimo, e un angolo cottura moderno, su cui spicca una pentola rossa. ..” Ilaria Rossini, Teatro e Critica, 2023
“Ambientata in epoca moderna…Mirandolina si libera di lazzi e frizzi spesso inutili…Lo spettacolo è asciutto, elegante, si svolge tutto davanti a una scena parietale simbolica, sotto un’illuminazione raffinata a tratti smorzata, con musiche lievi ma di enorme effetto…” Francesco Bettin, “Sipario”, 2023
“…Es bleibt uns nur noch zu sagen, wie das aus sparsamen Elementen (im Hintergrund eine Wand, dazu eine Kochnische, ein Tisch mit Stühlen) bestehende Bühnenbild von Annelisa Zaccheria allen Schauspielern erlaubt, auf der Bühne problemlos zu agieren…” Marinella Polli, 2023
“…il perimetro della scena, delimitato da lunghi tendaggi di velluto verde, o gli elementi asettici che dominano il palcoscenico: una poltrona, dove George si siede durante i “giochi” mentali, una lampada che ricorda una grande lente indagatrice, un pianoforte al centro (non solo oggetto di scena), una divertente cassa audio “touch”, un armadio in legno (mobile bar e porta di uscita) e dei gatti in ceramica smaltata (aggiungono un’atmosfera surreale)….Massimo Gonnelli, ”Fermata Spettacolo”, 2023
“…la scarna ma funzionale scenografia di Annelisa Zaccheria, con quei pesanti ed opprimenti tendaggi a circoscrivere il palco ed un ingombrante pianoforte verticale al centro dell’ipotetico salotto, …l’anta dell’armadio, in cui sono riposti l’alcool, i tanti bicchieri ed un mini acquario, in tutto identica alla porta, così da creare due apparenti ed ingannevoli vie di fuga; la collezione, ben sistemata per terra, di gatti di porcellana che assistono – inconsci, intoccabili ed inalterabili – alla distruzione totale), consapevole di poter – e, forse, dover – fare un passo indietro alla luce dell’altissima levatura dei protagonisti…” Pasquale Attolico, 2023
“…Palcoscenico. Un drappo di pesante velluto verde circonda la quinta teatrale, avvolgendola in una pesante densità “lynchiana”, pur nel contrasto evidente con l’assoluta eleganza scenica di uno spazio raffinato e minimalista.
Il conflitto, tra apparente bellezza della stanza/mondo, ravvisabile nei canoni di un equilibrio formalista e in quelli del rigore asettico dello spazio di form-azione dei personaggi, e sostanziale, occulto, disorientamento del privato/famiglia, emerge da subito nel gioco al massacro tra i due (poi quattro) coniugi in scena…La solida regia di Latella, impreziosita dall’apparato scenografico e illuminotecnico, è stata compiutamente trasferita e accolta da un cast che ha nei due protagonisti, Sonia Bergamasco (Martha) e Vinicio Marchioni (George), due sublimi interpreti…” Omar Manini, 2023
“…Cento pagine non basterebbero per esaurire le cose da dire sugli ingredienti di questo spettacolo (a partire dalla traduzione di Monica Capuani, alla scenografia curata da Annelisa Zaccheria che avvolge i protagonisti con la stessa letalità di una foglia di pianta carnivora) e alla ricetta con cui sono stati abilmente legati…” Pier Paolo Chini, “Modulazioni Temporali”, 2023
“…La grande stanza dai lunghi tendaggi color verde è uno spazio della mente, è palcoscenico della vita reale e irreale, è perimetro dell’immaginazione, di fuga dal mondo e rifugio. Allineati in proscenio, dei piccoli gatti di porcellana rivolti verso il pubblico, saranno i testimoni muti degli eventi in atto. La scena rimanda a certe atmosfere del cinema di David Lynch, un ring per un duello esistenziale di anime in cerca di amore. Confinati dal regista Antonio Latella tra quelle mura domestiche, i 4 personaggi di Chi ha paura di Virginia Woolf?, dramma dell’americano Edward Albee, consumano un gioco al massacro tutto verbale, dentro una geometria di movimenti che li vede spostarsi continuamente tra una poltrona, un armadio a doppia anta che è anche porta, un pianoforte verticale messo di sbieco, e un mobile quale punto di attrazione per bevute di alcol qui solo immaginato nei bicchieri e nelle bottiglie vuote (scena di Annelisa Zaccheria)” Giuseppe Distefano, 2023
“…Scenografia minimale ma circoscritta. Il palcoscenico viene ritagliato da una sofisticata tenda verde che crea un palco nel palco e sul palco nel palco troviamo un pianoforte, una poltrona, lampade e una credenza per l’alcool. Il tutto in stile anni ’60. E poi dei gatti di porcellana smaltata che ci guardano. Dal quadrato si passa al cubo del fittizio per mezzo di un ultimo salto, quello dei movimenti…” Francesco Bonfanti, 2023
“…Con pochi accorgimenti, anche grazie a una scenografia minimalista eppure statuaria, questo Chi ha paura di Virginia Woolf? resta impresso come un diorama borghese selvaggio e accattivante,…” Ludovico Cantisani, 2023
“…Nel chiuso di una stanza, nella continuità temporale di una notte, nel carattere astratto e quasi allucinatorio di una scenografia che vede in scena pochi elementi, poltrona, pianoforte e armadio a due ante (una delle quali indica una porta che si apre sul fuori), George e Martha, Nick e Honey, restituiscono nello spazio finito della scena una dinamica di forze che di fatto trasforma i personaggi in mere funzioni, agenti di tali forze. …” Roberto De Gaetano, 2023
“….I quattro protagonisti si muovono in uno spazio scenico asettico, di gelida eleganza, chiuso da tende verdi, in cui fa bella mostra di sé un grande pianoforte verticale e un enorme armadio che da una parte si apre su bottiglie e bicchieri, mentre dall’altra dà accesso a spazi che lo spettatore non vede; sul palco anche una poltrona, una lampada e, in primo piano, una serie di gatti di porcellana…” Mario Bianchi, “Krapp’s Last Post”, 2022
“…Nel rigore quasi astratto di una scena metafisica che si accende di monocromie assolute ritagliate su abiti, stoffe e pochi oggetti di design, George e Martha accerchiano Nick (Ludovico Fededegni) e Honey (Paola Giannini), giovane coppia ospitata nel bel mezzo della notte, improvvisando un party a base di alcol, ricatti e provocazioni sessuali…” Katia Ippaso, 2023
“…Basterebbe l’inizio folgorante dello spettacolo a colmare tutte le aspetttive: George-Vinicio- Marchioni è seduto in poltrona, con gli occhiali da intellettuale legge un libro, calmo, e Martha-Sonia Bergamasco con una parrucca nera, in piedi, stretta in un completo pantaloni verde, al piano suona e canta “Party girl” con la stessa struggente emozione di Chinawoman/Michelle Gurevich. Siamo nella loro casa, che poi è il palcoscenico delimitato da sipari verdi, il salotto-teatro del loro mondo cannibalesco di coniugi rabbiosi, amanti dalle molte facce, dalle molte rabbie, accuse, presi da quella guerra sfibrante che ogni coppia conosce almeno una volta nella vita…” Anna Bandettini, “La Repubblica”, 2022
“Con la scenografa Annelisa Zaccheria, Latella costruisce uno spazio teatrale astratto, ben lontano dal banale tinello naturalistico borghese che si era visto finora. Una sorta di limbo racchiuso alle tre pareti del palcoscenico da un tendone continuo, come una red room di ispirazione lynchana, ma di colore verde. I drappi che rivestono la scena si pongono in ideale continuità con il sipario teatrale, come una sua rientranza, come a comunicare un teatro interno, quello della recita di George e Martha, sul loro fantomatico figlio, sull’uccisione dei genitori ma anche sulle vacanze inventate nel Mediterraneo, che vede gli ospiti Honey e Nick nel ruolo di spettatori. Un unico grande armadio troneggia in scena, ma si tratta di un oggetto teatrale cangiante. L’anta sinistra diventa il bar, mentre quella destra assume la funzione di uscita dalla stanza, una porta che si apre nel vuoto, su quel manto verde che avvolge tutto, attraversata dai personaggi quando cambiano di camera, mentre le loro entrate e uscite dall’appartamento avvengono semplicemente sbucando in un angolo della scatola scenica foderata da quel drappo, o scomparendoci. A volte un attore, quando il testo prevede che non sia in scena, appare in quella nicchia dell’armadio, come se origliasse. Sembra la tipica posizione dell’anticamera dell’attore che, occultato, aspetta il suo turno per entrare sul palcoscenico, nel limitare tra il visibile e il non visibile. Latella prosegue così la sua opera di decostruzione della macchina teatrale, che era arrivata a certi estremi per esempio nel suo Servitore di due padroni, e che qui si mantiene sottile e minimale. Per lui, che ha sempre teorizzato l’assenza della quarta parete, si tratta ora di creare un interno da bomboniera ovattata, rappresentazione stucchevole della mediocrità di quel mondo borghese.….” Giampiero Raganelli, “Cult”, 2022
“…Un ring, un campo di battaglia, un luogo di reclusione. Quella grande stanza dai lunghi tendaggi verde scuro con, allineati in proscenio, dei piccoli gatti di porcellana rivolti verso il pubblico, è tutto questo. E altro ancora. Quel luogo che, a tratti, rimanda a certe atmosfere del cinema di David Lynch, nell’allestimento del regista Antonio Latella, è spazio della mente, è palcoscenico della vita reale e irreale, perimetro dell’immaginazione, di fuga dal mondo e rifugio. Fra quelle mura domestiche, i quattro personaggi del dramma Chi ha paura di Virginia Woolf? dell’americano Edward Albee, spostandosi continuamente tra una poltrona, un armadio a doppia anta che è anche porta, un pianoforte verticale messo di sbieco, e un mobile quale punto di attrazione per bevute di alcol qui solo immaginato nei bicchieri e nelle bottiglie vuote, consumano un gioco al massacro tutto verbale,…” Giuseppe Distefano, “Exibart”, 2022
“…In un angolo c’è la classica poltrona, una lampada e poco altro: le pareti sono tendaggi verdi plissettati, molto teatrali. Si vede la soffitta del palcoscenico, con luci e impianti. Al centro della scena troviamo un pianoforte verticale, rifugio e punto di fuga, dove Martha apre la scena, ubriaca secondo il copione. In primo piano sono sistemati alcuni gatti di ceramica. L’accesso alle altre stanze, la cucina e il piano di sopra della casa, è scarnificato in due ante di armadio, magazzini di segreti, nascondigli, luoghi di apparizioni…La sottrazione di una scenografia totalmente realistica ci porta immediatamente in una dimensione teatrale, teatralissima…” Massimo Marino, “Doppiozero”, 2022
“…Qui le scene di Annelisa Zaccheria ambientano la vicenda in un interno senza finestre, in cui le altissime pareti sono coperte da un tendaggio verde petrolio, scuro.
Gli elementi di scena comprendono una serie di arredi dal carattere vintage ma ricercati: una poltrona di tono giallastro alla sinistra del palcoscenico, alcune lampade di design, un pianoforte verticale posto di scorcio al centro del palco quasi a creare due sotto ambienti.
Ci sono poi due elementi che hanno caratteristiche quasi magiche: si tratta di una cassa acustica posta alla sinistra della scena, fra la poltrona e il pianoforte, che funziona quasi da juke box e da attivatore a tocco della colonna sonora...” Renzo Francabandera, “Paneacquaculture”, 2022
“…In un salotto il cui confine fisico è delimitato da uno spesso manto di velluto verde, si apre la scena dipingendo la contorta e squilibrata dinamica familiare…In un spazio chiuso tra pareti mobili ma opprimenti, assistiamo ad un massacro emotivo…” Rossella Siano, 2022
“…Lo spazio scenico è chiuso da tende verdi, nel centro un pianoforte verticale, un doppio armadio in cui un’anta si apre su bottiglie e bicchieri e l’altra dà accesso a spazi altri, una poltrona, una lampada. In primo piano una serie di gatti di porcellana. Non c’è altro e c’è tutto. Lo spazio è quello di un ring. Andare all’angolo – forse – vuol dire entrare in quegli spazi altri in cui prendere fiato o chissà cosa, cercare di uscire dal gioco, eppure trovarvisi sempre immischiati, come nella vita…” Nicola Arrigoni, “Sipario”, 2022
“…il velluto verde salvia drappeggiante chiude lo spazio su tre pareti, un armadio rappresenta una sorta di affaccio sul nulla, finta entrata ed uscita che non mostra dietro di sé altro spazio se non lo stesso dal quale è dunque impossibile uscire. Nel vuoto della scena di Annelisa Zaccheria ci sono una poltrona e una lampada di design, qualche gatto di porcellana e un pianoforte;…”Andrea Pocosgnich, “Teatro e Critica”, 2022
“...L’apparente claustrofobia della situazione che può essere letta in vari modi - siamo in una clinica psichiatrica? In una prigione? - viene risolta con intelligenza dalla regia che ambienta i vari interrogatori in un tinello e in camera da letto (la scena è di Annelisa Zaccheria), insomma nell'universo domestico della famiglia borghese, dove l'elemento di controllo, claustrofobia, amore, delitto assume tutto un altro valore, più intimo, complesso, interiore, tutto legato alla coppia, al dramma d'amore, alla relazione, al rapporto a due...” Anna Bandettini, 2016
“...In una terra di nessuno... L’impianto scenico ideato da Annelisa Zaccheria suggerisce una sorta di appartamento che ha anche un che di artefatto, di fasullo, come uno studio televisivo...” Renato Palazzi, 2016
“... La messa in scena di Rifici parte da una situazione di simmetria quasi assoluta, con il palco diviso a metà (scenografia e costumi di Annelisa Zaccheria): da una parte il tavolo attorno al quale si tengono i colloqui, dall'altra il talamo, teatro di nefandezze e disperazione. Questa simmetria viene però a poco a poco spezzata dal regista, che sfrutta anche la presenza in scena di due microfoni per dar vita a dialoghi a distanza in cui le voci degli attori risultano amplificate e distorte…”Antonio Mariotti, 2016
“...L’albergo come teatro del mondo, dell'artificio e della menzogna. Luogo di transito, di storie che si depositano, che si consumano, che scompaiono in un balletto di entrate e uscite. Un andirivieni di umanità dentro una scena compressa che nel finale esploderà in uno smontaggio a vista - facendo deflagrare anche i personaggi e i loro ruoli - e della quale rimarranno solo alcuni segni dentro il gran contenitore spoglio del palcoscenico...” Giuseppe Distefano, 2014
“...La hall circolare di un hotel dove si affacciano molte porte (scene e costumi di Annelisa Zaccheria), destinate ad aprirsi per rivelare fatti inquietanti o inaspettati, ...dove tutti cercano ... innanzi tutto se stessi e la propria identità anche sessuale ...Ecco allora nella seconda parte dello spettacolo le quinte distrutte, portate via dagli attori, e il palcoscenico vuoto, illuminato da candelabri ...” Maria Grazia Gregori, 2013
“...In scena scheletri di un interno borghese: una porta sul fondo che dà sul nulla, un letto, un frigo, una vasca e pochi altri elementi...Ogni elemento d'arredo è illuminato da fari a vista che accendono l'attenzione dello spettatore, delineando lo spazio, rendendo astratto quel luogo che è proiezione della mente...” Nicola Arrigoni, 2012
“...Caotico magazzino di mobili immacolati, con altri proiettori e strumenti acustici, una sorta di installazione-apocalisse che ha sconvolto e metabolizzato gli interni/esterni del copione...un effetto che destabilizza...” Rodolfo Di Gianmarco, 2012
“...È uno spazio mentale...squarciato da luci abbaglianti, riflettori, pinze, steli di microfoni a comporre una strana, minacciosa selva tecnologica che attraversa anche gli scheletri dei mobili che lo affollano, non oggetti ma memorie di oggetti. È l’ambiente degli incubi...” Magda Poli, 2012
“...Dann fährt der eiserne Vorhang herab und die folgenden knapp drei Stunden spielen auf dem gedrängten Raum der Vorbühne. Bis sich am Ende der Eiserne wieder hebt und den Blick auf giftgrüne Rollrasenbahnen freigibt. Gemächlich rollen die Schauspieler den Rasen ein, fläzen sich pfeifend auf den Rollen, während einer mit Kreide auf den Bühnenboden riesige Buchstaben krakelt. "Wiese" schreibt er. Wieder fünf Buchstaben...” Regine Müller, 2009
“...Un cabaret metafisico, un gioco del teatro nel teatro concentrato in quel minuscolo teatrino con luci e siparietto nel più vasto palcoscenico vuoto. È la porta della conoscenza da attraversare ... Nell’agone si consuma la morale, con la vittoria dell’ingiusto che diventa l’educatore del giovane. All’altro non resta che ritirarsi. Lo accompagnano l’involarsi verso il soffitto di decine di scheletri che fino ad allora, sospesi e parlanti, sostavano come nuvole. Una giustizia già morta e ormai scomparsa dalla coscienza degli individui, è presagio dolente della catastrofe…” Giuseppe Distefano, 2009
“...Una invasiva ed eclatante epifania di scheletri…” Gianfranco Capitta, 2009
“…Dann klopfen energische Absätze einen nervösen Rhythmus auf hölzerne Dielen. Aufbruchstimmung deuten auch die altertümlichen Bahnhofswartebänke an, die Annelisa Zaccheria auf die Bühne des Kölner Schauspielhauses stellt, um Antonio Latellas Deutung von Goldonis "Trilogie der Sommerfrische" möglichst sparsam zu möblieren. Von der Decke hängen Volieren, in denen blitzende Lüster stecken. Die Lichter sind eingesperrt über der gähnend leeren Bühne und senken sich später hinab in den Boden. Aus den Löchern, in denen das Licht verschwand, versuchen sich zuletzt die Menschen herauszuquälen, die sich vorher beinahe fünf Stunden lang im hartnäckigsten Terror des Müßiggangs bekriegt und aufgerieben haben. Wie Szenarien der Auferstehung des Fleisches auf Renaissance-Gemälden des jüngsten Gerichts muten diese Momente an, bevor eine dröhnend einsetzende Polka die eben noch Verzweifelten in groteske Springteufelchen verwandelt…” Regine Müller, 2008
“...Dieser fatalen Gala der Eitelkeiten hat Annelisa Zaccheria eine fantastiche Bühne gebaut: einen breiten Holzlaufsteg, über dem in böser Symbolik Lüster und Kandelaber hängen, die allesamt in riesige Vogelkäfige eingekerkert sind..”Hartmut Wilmes, 2008
“...La bambola è enorme. Sarà alta quattro metri e la sua nudità è un po’ disturbante. Domina a gambe aperte lo spazio disadorno...si rivelerà il simbolo del ‘corpus amandi’, ma anche del ventre vissuto come casa, come rifugio, come luogo terminale delle pulsioni...Ci troviamo in una casa dalla quale Petra non esce mai...” Osvaldo Guerrieri, 2006
“…La dodicesima notte o quel che volete è interpretata da un cast tutto femminile nell’intento di fare risaltare col moltiplicarsi dei travestimenti l’ambiguità che regge la bellissima, misteriosa commedia. E la scena di Annelisa Zaccheria intende ribadirne la leggerezza con una dozzina di bianchi palloni di diverse dimensioni, colorabili dalle luci, che si levano a varie altezze tra i personaggi per trasformare questa Arcadia fuori tempo in un’isola galleggiante del teatro…” Franco Quadri, 2003
“...L’ingegnosa trovata scenografica di Annelisa Zaccheria che è forse la cosa migliore dello spettacolo -un paesaggio di palloni aerostatici di varia dimensione, ancorati da funi che consentono loro di alzarsi e di abbassarsi, di avanzare o arretrare cambiando colore a seconda delle luci- evoca rarefatte trasparenze metafisiche. Nella traslucida luminescenza di queste sfere, la regia di Latella ha coerenza di stile e notevoli impennate visive...” Renato Palazzi, 2003
“...Uno spazio astratto, un non luogo delimitato da una serie di palloni colorati. C’è un ritratto demoniaco e infantile che attraversa tutto l’allestimento...” Nicola Arrigoni, 2003
“...Un lago di vetro specchiante, che la scenografa Annelisa Zaccheria ha coperto con qualche centinaio di migliaia di biglie argentee. All’effetto di spaesamento si somma per le due giovani figure che vi si aggirano quello dell’instabilità...Sull’insolita superficie la coppia galleggia come la sua memoria che confonde spiagge ed età...” Franco Quadri, 1998
“...Nella luce di un lampadario di cristallo i personaggi immersi in un’atmosfera fuori dal tempo si muovono in un equilibrio precario su di un pavimento di specchi ricoperto da biglie di vetro colorate, innocenti segni di un’infanzia che sembrano qui prendere l’aspetto minaccioso di sogni cristallizzati in tormenti... in un ambiente rarefatto...” Magda Poli, 1998
“...L’altro punto di forza è la loro dislocazione sopra o attorno a una massiccia piattaforma quadrata, unico indovinatissimo arredo della scena di Annelisa Zaccheria...” Franco Quadri, 1998
“...Un’isola-piattaforma che racchiude uno specchio d’acqua, capace di evocare Venezia, Cipro, mari in tempesta e poi trasformarsi in letto sacrificale, è l’originale e duttile luogo scenico ideato da Annelisa Zaccheria...” Magda Poli, 1998
“...Si tratta in fondo di una serie di apparizioni, che si succedono o s’intersecano per caso, in una terra di nessuno illuminata da lampadari un po’ stellari, tra le poltrone d’un salone in degrado o d’uno spazio informale...” Franco Quadri, 1997
“...Una spoglia stanza pavimentata di specchi è il luogo algido e misterioso nel quale la verità dei corpi degli attori sembra giocare e confondersi con le ombre dei miti lontani...In un’atmosfera rarefatta, ta sogno e incubo (la suggestiva scena è di Annelisa Zaccheria).” Magda Poli, 1997